2nd Apr, 2016

La benedizione delle case, emigrazione da un rito

Picinisco, benedizione delle case

La benedizione delle case, emigrazione da un rito.
di Sergio Andreatta (736)

“Ma la società è cambiata e non gliene frega!” La nostra società è profondamente cambiata rispetto ai tempi del Concilio di Trento (1545-1563) quando questa tradizione religiosa è sorta, allora anche come controllo diretto su eventuali eresie. In una società multietnica, multireligiosa e diffusamente laicizzata sono molti coloro che non accettano più questa visita. Ma quando capita… Stamattina stavo dando l’ultima spuntatina a una siepetta di lavanda ai piedi di un costone roccioso quando sento una voce stentorea provenire dal basso:“Da dove si entra?” Il parroco filippino è accompagnato da un giovane ministrante biondo. “Anche da quel cancelletto!… Ora scendo ad aprirlo!” L’ospitalità non si nega mai a nessuno e così apro e faccio salire dom Edmer per la benedizione delle case o, più che altro penso, delle famiglie. So che altri in paese sopportano questo rito con malcelata indifferenza, io no. Qualche generazione fa la benedizione della casa nel tempo pasquale sapeva consolidare la famiglia attorno al proprio parroco e anzi qualcuna, forse più superstiziosa che devota, pensava davvero che potesse preservare il casato dal malocchio. Al parroco serviva invece per verificare lo stato di sopravvivenza della fede al suo interno e per raccogliere qualche offerta.
Picinisco, scorcio

Oggi l’agile abate dell’antica Santa Maria e della Collegiata di San Lorenzo fa in fretta, percorre tutta Via S.Martino e dopo neanche un’ora lo vedo già risalire verso la piazza mentre impartisce un ordine al suo accompagnatore:“E ora ce ne andiamo su a Fontitune!” Questa, a pochi chilometri, è la frazione più elevata del Comune di Picinisco sulla strada per Prati di Mezzo e gli impianti sciistici. Penso che Fontitune o “Fonte del tuono” come la chiamo io italianizzando, all’interno del PNALM, in questo periodo sia totalmente spopolata ma preferirei sbagliarmi. Tutti i suoi rari abitanti li immagino emigrati in Scozia quasi un secolo fa e d’estate, avventurandomi da quelle parti per curiosità, mi è capitato di contarne fino a cinque, tra cui un Crolla anziano custode del villaggio e che aveva il compito, mi raccontava, di tramandarne oralmente la storia. Peccato perché quel sito, un tempo e per generazioni abitato solo da pastori e boscaioli, è davvero panoramico. Tanto da suggestionarmi e spingermi a scrivere un racconto che potrete trovare in rete. Penso a dom Edmer che sta salendo verso il grumo di case, tutte aggiustate dopo il terremoto del 1984 e perfettamente in ordine, lui naturalmente ritiene che la sua visita sia un importante strumento di contatto e di evangelizzazione. Ma evangelizzazione di chi se in questa alta frazione dell’Appennino Abruzzese fossero tutti morti o emigrati? Ma è la montagna stessa che sembra esser morta in alcuni suoi cantoni… Alcuni imputano il triste fenomeno al Parco che avrebbe come immobilizzato tutto. Il sacerdote si fermerà per un attimo allo slargo, osserverà le case e le strade vuote, spingerà la sua vista fino al castello medievale della sottostante Picinisco e più oltre fino alla Valle di Comino trapuntata dalle magre comunità superstiti. Da lì immagino il suo pater noster e la sua benedizione con larga aspersione di acqua santa, mentre il suo biondo ministrante in cuor suo già piange perchè tra due settimane soltanto dovrà mettersi in viaggio per l’Irlanda in cerca di lavoro. E allora: “Buona fortuna, giovanotto!” © Sergio Andreatta, Picinisco, 2.04.2016.
Picinisco, Piazza Capocci

I Commenti sono chiusi.

Categorie