11th Ott, 2017

ENTRI DAL CANCELLO CON L’ISTINTO DELLA FUGA…

di  Sergio Andreatta

 

Picinisco, Santa Maria.

Picinisco, antica Santa Maria.

ENTRI DAL CANCELLO CON L’ISTINTO DELLA FUGA…

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Benito Mussolini nel libretto consegnato ai militari.

Benito Mussolini nel libretto consegnato ad Albino e ai militari per spiegare la scelta di dichiarare guerra il 10.06.1940.

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Entri dal cancello con l’istinto della fuga ma sai già che, se saprai resistergli, si aprirà per te un’altra antologia di Spoon River. Quante storie soffocate da queste pagine di pietra, basterebbe forse alleggerirle un pò per farle uscire dal dimenticatoio. Nel sotto-portico della medievale abbazia di Santa Maria, già inventariata da papa Pasquale II, mi viene incontro una grande lapide cementata dall’Amministrazione comunale, sopra i nomi delle vittime dell’inabissamento dell’Arandora Star e dei molti civili di guerra. Ecco un nome che mi richiama una foto vista altrove, è quello di un Cesidio Di Ciacca, piciniscano-scozzese sulla cui tragica vicenda mi sono soffermato in uno scritto precedente. Giovane, non meno degli altri pieno di speranze e con tanta voglia di vivere quel primo Cesidio, subendo la sorte comune, fu costretto all’imbarco per il Canada. Ma il siluro tedesco, già in agguato fuori della baia di Plymouth, non gli avrebbe lasciato alcuno scampo, come ad altre mille persone. 17 gli affogati del paese, centinaia gli italiani di tutte la regioni, molti di Bardi nel parmigiano. Era questa la guerra tomba delle illusioni! Tra le vittime civili ricorrono i cognomi di tante famiglie storiche del paese e anche di un parente di mia moglie. Albino Antonelli con gli occhi legati alla malinconia ma un po’ avido di avventure aveva risposto puntualmente alla chiamata alle armi e da sottotenente dell’esercito italiano era partito da Civitavecchia per la guerra sul destinato fronte greco-albanese…

Ragazza albanese.

Ragazza albanese.

La posta di Albino.

La posta di Albino.

Tirana nel 1940.

Tirana nel 1940.

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A Londra, dove era nato, i suoi genitori (Giovanni e Mariuccia Mancini) gestivano un ben avviato snak-bar dalle parti di Portobello. Con i loro floridi proventi avevano potuto costruire fin dal 1924 in Viale San Martino una bellissima palazzina in stile liberty e questo era per tutti l’inconfutabile contrassegno di un’emigrazione di successo.  I sentori di guerra li avevano, però, consigliati ad un precipitoso rientro in Italia, giusto in tempo per evitarsi il naufragio dell’Arandora. Completava la famiglia l’adolescente, un pò ribelle, Antoniuccio. Nello svolgersi degli avvenimenti bellici, impensabilmente Picinisco si era trovata al fronte, nell’epicentro montano della Linea Gustav, così tra dicembre ’43 e i primi mesi del ’44 molte genti furono obbligate ad un sofferto sfollamento. Gli Antonelli-Mancini inglesi, che erano andati ad abitare a Roma in Via Tuscolana 42, appena l’aria della capitale divenne insostenibile, si erano spostati nella più tranquilla Ciociaria, ma non nella loro casa indisponibile di Picinisco, bensì a Ripi dalla nipote Olga nel frattempo andata sposa al forestale, poi mio suocero. Dopo varie vicissitudini personali e tragici coinvolgimenti diretti, per le sue precarie condizioni di salute Albino era potuto rientrare dal fronte. E ora si poteva riunire a tutti gli altri a Ripi. Intanto la patria Picinisco, in Valle di Comino, era stata invasa dai tedeschi e così anche la loro casa dove sulla porta della cantina, una profonda grotta scavata nella roccia, davanti alle botti piene avrebbero vergato un’immortale preghiera al vino. Il castello medioevale sarebbe stato a breve bombardato da un impietoso raid aereo americano, l’alta torre circolare sfarinata per castigo. Ma, dopo lo sfondamento alleato a Monte Cassino, i nazisti si convinsero che non era più il caso di resistere stando lì e si ritirarono e nel farlo non tralasciarono di trafugare da casa alcuni quadri, un pianoforte tedesco di marca ed una statua, copia ridotta di quella della libertà di N.Y., che si erigeva in basso all’inizio della scala. Albino, Antonio e anche la loro cugina convivente Olga Mancini avevano potuto frequentare una delle migliori high-school di Londra. I fratelli suonavano meravigliosamente i loro strumenti musicali, accoppiandosi al pianoforte e al violino. Intanto le malvagie e punitive incursioni aeree U.S.A. si mangiavano i castelli ducali e, uno dietro l’altro, i paesi antichi della Valle. Il terrore aveva le forme di un imprevedibile drago di fuoco che pioveva dal cielo. Ma Ripi, no. Ripi sembrava più sicura, fuori da ogni obiettivo. Bisogna avere la giovinezza ma non doverla rimpiangere la volta che ti capita e proprio a maggio, il mese dell’amore e della poesia. Perché gioirebbe altrimenti la natura e si risveglierebbe il sangue nelle vene? Guerra e pace, con la seconda ad incalzare le speranze di guardare avanti. L’ufficiale in congedo, pur appassionato di arte e abbeverato di cultura, sapeva di non essere l’unico ad aspirare a una vita piena di bellezza e di libertà. Le sue note musicali ora gli riempivano la testa frastornandolo e l’animo, l’animo gli appariva più leggero del solito stamattina,  così prese per mano il piccolo figlio del forestale Pirri e s’incamminò per la rua.

Ragazze locali.

Ragazze locali.

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Ala Littoria e censura sulla posta del sottotenente italo-inglese Albino Antonelli.

Ala Littoria e censura sulla posta del sottotenente italo-inglese Albino Antonelli.

E percepì subito il rumore, l’aereo si avvicinava, la rombante sordità dei suoi motori non poteva sfuggire all’orecchio esperto di un ufficiale. Ci fu un attimo interminabile, solo un intervallo di pochi istanti, per pensare alla salvezza. Poi le bombe gli esplosero intorno frammentandosi al suolo. Albino, squarciato, non ebbe neanche il tempo di lanciare al cielo la sua maledizione ma il piccolo Leandro di quattro anni si sarebbe salvato. Il sottotenente del 207° Reggimento Fanteria ”Taro”, 6a Compagnia, era un giovane partito, seppur senza grandi entusiasmi, “col cuore oltre la meta” come gli aveva inculcato la martellante propaganda fascista. Dalle zone di guerra in Albania e Montenegro e ovunque le successive strategie l’avevano portato, aveva scritto solo pensieri di grande sentimento per la patria e di forte attaccamento ai suoi monti della Meta. Mai che avesse fatto trapelare ai familiari le sue emozioni, le sue trepidazioni se non quando, nelle lettere e nella cartoline postali alla madre in attesa nella casa di Roma, forse in cerca di protezione, si era concesso ad accorate suppliche alla Madonna di Pompei di cui era molto devoto. © – Sergio Andreatta, Riproduzione riservata per testo e foto dell’Archivio familiare.

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