Eucalyptus, poesie, 1980

(In foto Sergio Andreatta e Stanislao Nievo (a dx) in visita al IV Circolo didattico “Carlo Goldoni” di Latina pochi mesi prima della morte).

Sergio Andreatta e Stanislao Nievo

Sergio Andreatta e Stanislao Nievo

 Stanislao Nievo, Prefazione ad “Eucalyptus” 

Poesie di Sergio Andreatta
Lucania Editrice, Latina, 1980
Sergio Andreatta, Eucalyptus, poesie, Lucania Ed., 1980. Prefazione di Stanislao Nievo

Sergio Andreatta, Eucalyptus, poesie, Lucania Ed., 1980. Prefazione di St. Nievo

Nel nostro paese la poesia rinasce continuamente, timida e tradizionale, incerta e ispirata, chiusa in circoli pregnosi e assalita da stormi di nuovi compositori. A tratti brilla, poi si lamenta, si sclerotizza, scoppia e si mette a girare intorno a qualche pozzo sentimentale da cui tira fuori perle, acqua, fanghiglia e semi perduti.  E’ il desiderio tellurico e contorto di molte persone sensibili e in possesso di un po’ di cultura e libertà di espressione linguistica, quello di scrivere epigrammi.  Un’aspirazione neanche tanto segreta, legittima e infuocata, che ritroviamo dappertutto, nei ceti più diversi, in campagna e in città. Essa si lancia con voracità su ogni motivo, trascinando con sé sensazioni e situazioni ben note, socialmente triturate da interpretazioni trepide e a volte forsennate, dall’alienazione chiusa nelle città asfissianti ai panorami più lirici e personali, dalla solitudine all’amore che sono le due grandi polarità in cui ogni individuo si dibatte, e da cui escono tanti versi. Gli italiani sono realmente un popolo di poeti, o almeno di apprendisti poeti. Forse l’uomo poetico sarà la prossima, angelica tappa evolutiva della nostra specie biologica, se essa saprà prendere la strada adatta. Altrimenti sarà, con molta probabilità, il suo opposto demoniaco. E andrà peggio.  In attesa di ciò, la poesia si divincola impetuosa e disorientata, bistrattata e osannata, al di fuori di ogni economia. Per sua fortuna. Al tempo stesso sente di essere amata, cercata. Si ama la poesia anche se a volteil territorio dove transita il compositore di versi, è più una palestra di specchi e di echi che non il sentiero ammaliante e oscuro in fondo a cui, con rigore sconosciuto a molti, si apreil territorio reale e difficile della poesia. Ma intanto la cerchiamo in tanti.   Sergio Andreatta tenta in Eucalyptus il suo viaggio. Sceglie una terra che mi è personalmente cara, i luoghi della mia infanzia, l’Agro Pontino, una pianura circondata dai monti e dal mare come un rettangolo sacro e profanato da bellezza antica e turpitudini opulente del nostro tempo.  Andreatta sceglie dei temi mitologici, i cieli di melanconia di tante tragedie comuni e personali, in uno spazio notturno pieno di gentilezza e di accoramento. Sceglie ancora i borghi e le città, moderni e vecchi, le casematte nucleari e i panorami pascoliani, le tragedie che l’hanno colpito e la sua raffinata stanchezza di vivere. Che coraggiosamente non prevale mai.  Così nascono i suoi versi, “espulsi dall’infanzia”. E’ un lamento notturno che si infila tra grida sociali, dolcezze stagionali con ritmo quasi cantato. La sua mitologia personale incontra quella classica, carica di memorie educative, si stempera in voli lunghi, bassi, come un uccello che porta la sera, il suo lirismo, la sua visionarietà.  Due tragedie, una genealogicamente davanti e una dietro di sé, la morte del padre troppo giovane e del figlio nascente (“Ho convertito il mio dolore in lapidi”), sono le porte di ferro che colpiscono questo volo. Il poeta ne rimane sconvolto, come un’ingiustizia che lo sbalestra e che si può superare soltanto se si riesce a raccontarla liricamente, recuperando la propria essenza vitale nascosta, in un attimo di poesia. Questa emerge, a volte si solleva, a volte scivola via e si infila in ritorni linguistici più ovattati. Ma sempre rimane il coraggio di cercare il canto.   E’ la dote più bella di questi versi, come un “sole vergognoso” che tenta nuove aurore. Questa capacità, venendo da un’attenzione sociale troppo consapevole, urla con garbo, senza ferocia, tra gli eucalipti che rappresentano molto bene la natura parnasiana, un po’ artefatta e molto ingombra di architettura demoniaca, dell’Agro Pontino.  A volte lirica, a volte sfogo del profondo, a volte apologia angosciata, Eucalyptus si alza e si abbassa in queste altalene, toccando alcune leggiadre composizioni, tra cui “Ecco non frena”,“Mio figlio”,“Torna la sera” ed “Imaginaria Satricum” testimoniano del sicuro talento di questo slanciato e travagliato poeta.
                                                                                                                                                                                                                 Stanislao Nievo, Roma, marzo 1980 

BUTTERI

Sergio Andreatta legge Eucalyptus

Sergio Andreatta legge Eucalyptus

Vecchi butteri 

pensieri radunati

innumerevoli crepe sul muro.

E’ tardi ormai!

I ricordi

vagano come mandrie

fulgidi moriranno nel vento

delle paludi.

Il cuore non arde più di amore

lontani sono i tempi della giovinezza

davanti al bar ci si nutre 

d’ illusorie visioni

di superstiti vitalità.

E’ tardi!  E’ tardi ormai!

Perché alla sera

muoiono di fame

anche le ombre…           Sergio Andreatta