7th Nov, 2012

Latina e Frosinone, una provincia

LATINA e FROSINONE, una Provincia.

Verso una nuova governance. Per il territorio dove 150 anni fa, e ancora per diversi decenni dopo l’Unità d’Italia,  funzionavano le Province della Campagna (Frosinone), della Marittima (Terracina) e dell’Alta Terra di Lavoro (Cassino), la spending review di Monti dispone ora per decreto l’istituzione dal 1.01.2014 dell’unica Provincia del Lazio Sud. 

di  Sergio Andreatta

L’ integrazione territoriale Latina-Frosinone prevista nell’economia di unica provincia dalla spending review può rappresentare un fenomeno microsociologico interessante che andrà osservato, anche per  i significativi aspetti simbolici, oltre che per gli “intenzionati” effetti amministrativi ed economici reciprocamente orientati. E sicuramente da porre l’attenzione nei prossimi anni sui processi di mediazione culturale e, più che alla realizzazione di regole pre-stabilite per decreto, alle relazioni fra enti ed espressioni in cui la definizione delle stesse è proposta e stabilita localmente in comune da ciociari e pontini  nel corso del processo di integrazione dei territori e delle popolazioni.

In una probabile unificazione delle due province di Frosinone e Latina, in un “Lazio Sud” o comunque si chiami, a seguito della spending review, siamo convinti che abbiamo tutto da imparare e da guadagnare a stare insieme, ciociari e pontini. Chi oppone motivi non è così stupido da non sapere che sono argomenti capziosi e pretestuosi, se non campanilistici o addirittura intollerabilmente razzistici…

Ottaviani, Iannarilli e Cusani, solo per citare alcuni esponenti politici locali di spicco, hanno la loro “carega “ da difendere e si danno strenuamente da fare invocando l’alleanza di nobili, quanto inesistenti, ideali. I veneti-pontini delle ondate migratorie del 1931/’32/’33/’34 che hanno operosamente contribuito, insieme ad altri prima-durante-e-dopo la bonifica integrale, al riscatto delle terre pontine dalle paludi e contemporaneamente al miglioramento della propria sorte, non hanno particolari bandiere di autonomia o di separatismo da innalzare, ammettono anzi e accettano l’evolversi delle cose, tranne quei quattro “pionieri” del “congelato” riscatto così come definito e cristallizzato in “Canale Mussolini” da Antonio Pennacchi e criticato, in un didattito che ho aperto su Facebook, dallo psichiatra dr. Gianluca Mattioli… Poco fa il TG1 parlando delle elezioni americane in corso, qualificava gli elettori del repubblicano Romney come elettori lusingati dalle sue soluzioni ai problemi della pancia.
 
 
Questa, dunque, la loro autorappresentazione del riscatto… Il vero riscatto culturale sembrerebbe a me, più pertinentemente col dibattito da me suscitato, quello in cui sappiamo metterci nella condizione di disporre a pieno delle nostre potenzialità e facoltà, delle nostre funzioni psichiche e sociali e, naturalmente politiche, sapendo mediare tra gli interessi nostri e quelli della comunità/territorio. L’educazione (compito non esclusivo di scuola e altre agenzie preposte ma soprattutto della famiglia), il raggiungimento e il mantenimento di un posto di lavoro possibilmente non precario, la coltivazione di relazioni sociali soddisfacenti e l’introduzione di provvidenze (e cure) su misura dei bisogni della persona che lo Stato sapesse garantire, costituiscono il contesto – il terreno di cultura – di questo riscatto culturale. Ma non c’è soltanto la cultura della persona, c’è la cultura del gruppo e di una società in movimento da considerare. Il riscatto riabilitativo di una sofferenza o di una minorazione emarginanti in sé, lo sa bene il dr. Mattioli neurospichiatra, costringe ad una riorganizzazione della persona. Il riscatto, auto o eterodiretto, porta a capire le frustrazioni e a gestire i propri limiti, induce a chiarire, a chiedere (saper chiedere) solidarietà e aiuto, a superare le problematiche e i blocchi di certe esperienze negativamente vissute nella connessione con gli altri, e non con la separazione da loro, attraverso l’attivazione delle determinanti psichiche dei fattori psicosociali, familiari, ambientali. Insomma materia per chi si occupa di persona e società, oltre che metodo di diagnosi e prognosi per psichiatri. Altrettanto occorre attivare ora, in occasione dell’imminente processo di omologazione della nuova provincia, le determinanti psicoculturali per una nuova governance e per il più ampio rassemblement, non soltanto amministrativo. Sergio Andreatta, Riproduzione Riservata
 
Lo spunto è tratto dalla mia pagina Facebook in cui ho provocato al dibattito: (Continua)
A Latina ci scandalizziamo, nella riforma delle province, di star insieme con i ciociari. Ma i veri pionieri della palude pontina sono stati i molisani di Sessano e i ciociari di Valcomino e non. I ciociari scendevano verso la palude da sempre e già verso il 1875, Sezze è piena di cognomi ciociari provenienti da diversi paesi. E c’è anche una chiesa che ce lo ricorda (Chiesa nuova). Riconosciamolo, i veri pionieri sono loro e non noi veneti (o veneto-pontini come ci chiamano) approdati qui a fatiche in gran parte sostenute.

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    Antonio Sorabella E mettiamoci l’uomo di Neanderthal forse è stato il primissimo
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    Antonio Grella “voi veneti” non lo so… i miei nonni qui ci sono venuti da Pionieri e sono morti di malaria… erano di Castelbaldo in provincia di Padova…  loro sono stati i Veri Pionieri, per me… sicuramente i “ciociari” venivano in pianura a portare il bestiame a svernare, a fare la “transumanza”, insomma… ma non dimentichiamo che la “Ciociaria” era un tuttuno con questi territori… non c’è una palma da assegnare ai veri pionieri… semmai c’è un levarsi il cappello per tutti coloro che, in questa opera immane ci hanno rimesso la pelle… per la malaria, per il lavoro massacrante, per la vita a volte inumana… ed erano sia della provincia di Frosinone (nata nel 1927) sia di Sezze, sia dei paesi collinari che si affacciano sulla piana Pontina, sia veneti, sia romagnoli…se riconosciamo questo, siamo daccordo… altrimenti dobbiamo dire che i “veri pionieri” sono stati i Volsci… nel 1875 i ciociari in pianura ci portavano il bestiame… ed era normale che a Sezze c’erano molti cognomi ciociari, visto che fra quelli che qui portavano le greggi a svernare, qualcuno si è fermato lungo il tragitto, accasandosi con fanciulle del posto… non si può semplificare come fai tu…
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    Sergio Andreatta Detto da Sora-bella(capitale della Ciociaria)!
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    Antonio Grella e poi, visto che dici che a Latina ci scandalizziamo, ti invito a leggerti giornalmente i quotidiani che escono in provincia di Frosinone, per ascoltare proclami deliranti sulla sventura che cadrà su tutti i ciociari al momento che entreranno nel girone dantesco dove ci sono i “pontini”… ma per piacere…
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    Antonio Grella proclami fatti da politici, naturalmente… alle “gente normale” sono altre le cose che interessano…
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    Sergio Andreatta I tuoi di Castelbaldo, Grella, non credo siano venuti prima dei miei da Paderno del Grappa che non sono affatto morti, nè ammalati, di malaria… Almeno 10 anni prima sono arrivati i molisani di Sessano a scavare i fossi da cui Villaggio Sessano (poi Borgo Podgora). I ciociari erano già presenti e non solo per transumanze ma anche per la coltivazione dei campi dei ricchi sezzesi.Priverno, anche Priverno era considerata cittadina ciociara a tutti gli effetti.  Ma il discorso, culturalmente ben inteso, non è qui quello di una rivendicabile primogenitura, ma della necessità dell’integrazione fra tutti. La fusione in una Provincia del Lazio Sud mi sembra così proprio naturale date le contingenze del difficile momento economico.
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    Sergio Andreatta I proclami di Ottaviani e Iannarilli lasciano il tempo che trovano (non diversamente quelli di Cusani): Vengo proprio adesso da tre giorni in Ciociaria che conosco a fondo, dove ho casa e mi trovo bene da sempre,e non mi sembra che ci siano traumi sociali che ambulano per le strade, almeno non più dei lazzi razziali che circolano per le strade poderali abitate dai nostri veneto-pontini.
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    Gianluca Mattioli ma cosa vuol dire “pioniere”? La definizione non l’avete fornita …. nei paesi dell’est vuol dire iscritto al partito comunista (a 12 anni) … nell’ Italia del fascismo erano i “paraculi”…. in realtà a trasferirsi in piscinara erano migranti e i veneti erano maestranze ingaggiate dall’ONC con il contratto di mezzadria…. da ribadire che l’ONC aveva l’esclusiva  proprietà delle terre bonificate realizzata con i suoi investimenti….
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    Rita Pacitti che  schifo  stanno  facendo  sti  politici ..loro  fregano  ..en  noi  paghiamo  le  consequienze
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    Antonio Grella i miei nonni erano in pianura dal 1907…  quindi credi male…
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    Antonio Grella la primogenitura hai provato a darla tu, dicendo che i veri “Pionieri” sono stati i ciociari… salvo smentirti  da solo, visto che i “Pionieri” sono stati coloro che hanno cominciato i lavori di bonifica… hai elencato molisani, veneti…
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    Gianluca Mattioli Allora spiegaci erano venuti quà per “fame” come sostiene berlusocni in “Canale Mussolini” in cerca di “sfamatori” oppure sono venuti come tutti migranti o per realizzare il loro sogno d’amore con il “riscatto culturale” per diventare ” i padri di”??……..
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    Sergio Andreatta Nel 1907, se conosci la storia, Grella, nessun veneto veniva giù in palude per una qualche idea di bonifica. Semmai continuavano il flusso migratorio verso Argentina e Brasile iniziato subito dopo il 1870, tanta era la fame. O se sporadicamente sono capitati era per lo stesso motivo.
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    Gianluca Mattioli “””””visto che i “Pionieri” sono stati coloro che hanno cominciato i lavori di bonifica… hai elencato molisani, veneti…””” ci si riferisce alla confusione del Prof. Andreatta: i molisani erano le maestranze ingaggiate dall’ONC per l’opera di bonifica, muratori, scalpellini idraulici, scavatoristi ecc. ,  il termine “pioniere” era stato sfruttato dai fascisti… che lo usavano come i comunisti di stalin…
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    Sergio Andreatta Ma l’incipit, a ben leggere, era nella sostenibile idea di fusione fra le due Province e nella stupidità razzistica (anti-ciociari) che mi capita di sentire in casa di discendenti di “veneti-pionieri”.
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    Gianluca Mattioli Andreatta ma quale “fame” era per riscatto culturale…. l’emigrazione in quel periodo toccava all’Italia… la gente non è solo stomaco ma anche cervello…….. e basta…….
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    Gianluca Mattioli è semplicemente una valenza tribale della stupidità locale per un finto controllo territoriale…
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    Sergio Andreatta Se pochi avevano il cervello, molti (anzi tutti) avevano lo stomaco.
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    Rita Pacitti io  ci  manderei  tutti  i nosti  politici  con  picco  e  pala  adesso
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    Antonio Sorabella Io appartengo alla vecchia provincia di terra del lavoro non appartengo alla ciociaria anche se nelle mie terre (gaeta) i contadini portavano le  cioce comunque da qui al 2014 ne vedremo e sentiremo delle belle i territori sono vicinissimi  e quindi per forza ci sono state influenze e mi sembra inutile attestare chi sono stati i pionieri l’unica cosa certa  é che la bonifica integrale é stata realizzata da Mussolini che poi mio nonno ex combattente medagliato che prese la malaria non ebbe un metro di terra perché non era fascista é un altro discorso
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    Antonio Grella ho capito… quindi i miei nonni qui non ci potevano stare perchè tu, sergio, portatore della verità, li sposti in Argentina e in Brasile… la storia, caro Sergio, la raccontano le persone… i miei nonni stavano qui dall’ottebre del 1907… adesso questa cosa può cozzare con il tuo credo, ma è così… che ci siano venuti per fame, o per altri motivi, resta il fatto che non devi cercare una primogenitura nell’essere stati pionieri… e tutto questo non c’entra con una coesione di genti che erano coese(se conosci la storia) già in passato… tolte le città nuove, questa era campagna romana e marittima, e l’attuale provincia di Frosinone in gran parte era annessa al regno delle due sicilie… io sono daccordissimo alla unione delle due province… capirai… sono nato a Latina, ma vivo da anni in Ciociaria, mia moglie è Ciociara e amo questo territorio così come amo la provincia di Latina… quindi, lascia stare le primogeniture, lavoriamo in maniera capillare per un futuro che sarà comunque per le due province unite…
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    Sergio Andreatta Gianluca, sai bene che nel riscatto dalla fame c’è sempre anche un riscatto culturale. Queste due tipologie di riscatti non sono oppositive.
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    Antonio Grella Gianluca… a proposito di cervello… ma te la ricordi la trasmissione “i sentieri del cervello”?
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    Gianluca Mattioli La trasmissione di Lazio TV?….
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    Antonio Grella no… quella che facevamo a Tele in con Dina…
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    Gianluca Mattioli Prof. Andreatta fame è una cosa e riscatto culturale è un’altra cosa……. se è “fame” ci si riempe lo stomaco e si torna a casa… con la pancia piena … ma  con il riscatto culturale la valenza è diversa: c’è il cambiamento radicale  il decidere di  farsi seppellire là… perchè vale il concetto di diventare “padre di” ……. una nuova società…
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    Gianluca Mattioli si me la ricordo… in generale la trasmissione… di cosa si parlava?…
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    Antonio Grella beh… era l’analisi fatta da te (su domande di Dina) su problemi riguardanti la psicologia, la psicoanalisi ecc… dovresti ricordarti… la sede era dove stava proma Telelazio… fondo nero… inquadrature dal basso…
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    Gianluca Mattioli si certamente…. una decina di anni fa… ma non mi ricordavo che avevamo parlato di pionerismo… grazie comunque… che ti è rimasto il ricordo
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    Gianluca Mattioli ma tu sei il regista per caso? IL famoso antonio?…
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    Antonio Grella ah!… mi fa piacere che ti ricordi! ci siamo visti anche a casa tua…
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    Gianluca Mattioli siiiiiiiii………. che piacere risentirti…. un forte abbraccio… come potrei dimenticarti……… grande Antonio…. ecco perchè partecipi a questo dibattito… tu sei esperto dei contributi di frontiera locale……..già è così….
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    Antonio Grella ti mando anche io un forte abbraccio…
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    Luciano Comelli Il concetto di “ciociaria” è quanto di più confuso esista… anche dire che Sora si capitale della ciociaria, è un po’ una forzatura: l’attuale provincia di Frosinone è (esattamente come l’attuale provincia di Latina) fatta di due pezzi distinti per storia politica, ed anche per tratti linguistici, tant’è vero che quando spesso si sente l’espressione “dialetto ciociaro” non si sa mai bene di cosa si stia parlando, dal momento che il dialetto di Sora non è certo il dialetto dei monti Prenestini o della valle del Sacco..
    Insomma c’è una enorme confusione, e purtroppo una certa ignoranza dell’etnografia contemporanea della nostra regione.. (ad esempio, come diceva qualcuno poco sopra, la “ciocia” non è certo un tratto etnologico della ciociaria, visto che è stata diffusa in mezza italia).
    Etnicamente i centri dei monti lepini (i “nostri” monti lepini) hanno una certa continuità culturale con la “ciociaria” settentrionale, così che l’area pontino-lepina e quella della valle del sacco a nord di frosinone, e dei monti prenestini ed ernici (settentrionali) sono molto più simili che non l’area pontina-lepina con il cosidetto sud-pontino.
    Secondo me la rivalità è solo calcistica!
    Prof. in effetti io non sento solo venetopontini indignati da questa notizia, anzi… a occhio e croce non me ne viene in mente nessuno…. se penso ai “tifosi” più accaniti che conosca contro questa fusione, hanno le origini più disparate, spesso sono lepini (!) o addirittura hanno origini nel sud pontino o nella ciociaria stessa….
    In questa vicenda credo ci sia solamente molta ignoranza (anche dall’altra parte, in zon FR, per carità!)
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    Luciano Comelli …poi tutte le polemiche sul pionierismo le lascio a voi, a me non appassionano molto! ma so che per qualcuno di voi questo è un chiodo fisso…. ;))
    Credo che il signor Grella cmq, rimanendo sui fatti storici, non possa che avere ragione (conoscerà la sua storia familiare, penso!), ma bisogna dire che questa sua vicenda degli avi veneti “scesi” nel 1907 sembra un po’ un’eccezione, una particolarità. Prima della bonifica, ciò che è sempre stato attestato, è che i transumanti fossero in gran parte ciociari ed abruzzesi (per la via dell’Amaseno) ed in parte minore umbro-marchigiani-romagnoli.. mentre gli operai della bonifica, nelle diverse fasi, provenivano da tante parti diverse (un po’ come le imprese che vi lavorarono, si veda Pino Riva). Di certo tra i primi “qualificati” ci sono stati quei Molisani e quei Ciociari che il prof. ricordava… io ricordo anche gli Abruzzesi tagliatori di travertino, che si stabilirono a Cisterna in località Pozzo Cafone.. queste mi sembrano componenti migratorie “famose” benchè piccole, forse proprio perchè legate a mestieri qualificati e perchè dettero luogo poi ad una permanenza sul territorio… ma direi che tanti lepini lavorarono alla bonifica integrale fin dalla prima ora o quasi, solo che di loro non si ha molta memoria perchè magari erano semplici manovali, oppure perchè… appena finito ritornarono nei rispettivi paesi, del resto vicini.
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    Antonio Grella in effetti, signor Luciano, la polemica è cominciata solo perchè si è cercato di stabilire una verità storica che poggia le sue radici su di una faglia che è sempre stata in continuo movimento, nel senso che, prima della bonifica, la vita ferveva comunque in palude… i butteri con le loro bufale, i campi di grano coltivato dalle genti che abitavano i paesi che coronano la pianura, i transumanti, i carbonai… un territorio che, nonostante le difficoltà ambientali (che non c’erano per tutto l’anno) hanno sempre vissuto questo territorio… stabilire chi per primo abbia messo piede nella piana pontina mi sembra di cercare di voler spacare il capello in quattro, e non mi sembra molto logico… ha più senso, forse, cercare di trovare da subito, una volta eletto un nuovo governatore ed una giunta, sinergie volte a contrastare comunque l’egemonia di Roma che, come capitale, come provincia, ha sempre fagocitato risorse, lasciando alle altre province le briciole… sinergie sul lavoro, le imprese, strategie per un diverso modo di fare turismo di cui i due territori sono ricchissimi e non hanno certo da invidiarne a nessuno… come dice lei, il campanilismo è solo nello sport (anzi, solo nel calcio ed un pochino nel basket, visto che nel volley, ad esempio, Latina da anni collabora fattivamente con Sora), per il resto, rimboccghiamoci le maniche per colmare le distanze che, secondo me, sono solo geografiche… non vi pare strano che nessuno abbia pensato a collegare i due capoluoghi con una ferrovia?  oppure, non appare assurdo che le due città siano collegate da una strada che non sopporta più ormai il carico di un pendolarismo in entrambe le direzioni? ecco… forse, cominciare a ragionare sulle infrastrutture potrebbe essere un buon inizio…
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    Gianluca Mattioli Ma il nucleo storico di Latina consiste nella formazione di una nuova etnia motivata da un riscatto culturale genuino e interessante sul piano antropologico nel senso che sono riusciti a fondere etnie fra loro diversissime si pensi solo alle difficoltà fra ebrei e palestinesi……. lo studio di queste realtà offre spunti interessanti perchè sono coinvolte tutte le etnie italiane…. ci sono dati epidemielogici interessanti e meritano per esempio una facoltà di lettere e dei campus sulla materia delle emigrazioni e della fusione delle razze…….  dunque è importante stimolare il dibattito con nuovi contributi……
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    Maurizio Marcato oggi mi sono acculturatoun’altro po’ per quanto riguardaq la storia di Latina grazie ha tutti
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    Luciano Comelli in effetti, senza scendere troppo nella definizione (o definizioni) di “pioniere”, si può comunque affermare che chi è venuto qui per bonificare (prima) e colonizzare (un attimo dopo) abbia rivestito un ruolo particolare rispetto a chi frequentava la palude in precedenza, come transumante, commerciante o contadino “pendolare”: questi (fine anni 20 e anni 30-40) hanno partecipato comunque ad una trasformazione imponente che, oltre a modificare il territorio fisico, ne ha modificato (o creato?) la società umana! l’economia (magra) di prima non è esistita più, ne è nata una nuova; i rapporti etnici (anche solo sul piano delle quantità) sono cambiati, l’ideologia politica ha piantato un suo germe, e sono nate comunità nuove… forse in questo senso si potrebbe dire che “i primi” di questa nuova società non siano necessariamente i “primi” in ordine cronologico! ma sono quelli che hanno preparato la strada a quelli di adesso.
    Certo il criterio non è così netto, anche perchè sono proprio le popolazioni lepine a metterlo in crisi: loro c’erano sia prima (nella “vecchia” realtà)  sia dopo… non hanno certo meccanismi di identità centrati nel ventennio come quelli dei venetopontini.. però non sono  affatto alieni agli effetti della bonifica, che gli ha cambiato (e stravolto?) la società pure a loro.. cioè l’economia, ma anche la cultura.
    (ciò non toglie che da queste elucubrazioni sono pressochè da escludersi, con rispetto parlando, gli abitanti del sud-pontino! e del frusinate-borbonico… percui la contrapposizione “provincialista” non ha comunque senso, come la giri la giri…)
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    Gianluca Mattioli Comunque il perno ruota intorno alla figura del “pioniere” una strumentalizzazione del fascismo che ha sfruttato l’indigenza del mezzadro in termini di esaltazione e fanatismo… il soggetto investito da questa “patacca” si è esaltato sino a confondersi sul piano simbolico e esistenziale credendosi il portatore di una identità… tutto si è consumato sull’esaltazione che ha mascherato quel riscatto culturale genuino e utile per lo sviluppo……  così è nato il pionerismo con molte caratteristiche comportamentali tipiche del fanatismo imposto dal regime… purtroppo questa condizione di sudditanza  ha favorito il masochismo  dell’avido opportunista predone che è presente nell’emigrante… da questa miscela esistenziale è poi sfociata nello sfruttamento di una politica mafiosa con ricatti e truffe  (centrali nucleari, monnezza varia, ecomafie ecc.) che ha impoverito i soggetti… Oggi lo scenario è simile alle periferie sud americane con il bisogno di una “cultura” e maggiore trasparenza… sulla speculazione edilizia……..
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    Sergio Andreatta Condivido Comelli quando dice: sul confetto di “pioniere” sono proprio le popolazioni lepine a metterlo in crisi: loro c’erano sia prima (nella “vecchia” realtà) sia dopo… non hanno certo meccanismi di identità centrati nel ventennio come quelli dei venetopontini.. però non sono affatto alieni agli effetti della bonifica, che gli ha cambiato (e stravolto?) la società pure a loro.. cioè l’economia, ma anche la cultura… Detto questo, nella discussione – piuttosto interessante – si sono sormontati pensieri molti diversi fra loro e difficilmente riconducibili a sintesi. Per Sora-bella, da non trascurare che nella Terra di Lavoro – prima dell’istituzione della Provincia di Frosinone nel 1927 – rientrava anche Sora dal cui toponimo trae origine secondo il più noto cultore E. De Felice – il suo cognome. Per Grella nessuno vuole mettere in discussione il suo familiare 1907, come nessuno può il mio 1900 negli States tanto che mio nonno nel 1917 faceva anche l’interprete per gli americani scesi in guerra a fianco dell’Italia.Sono i tanti fili del tessuto che compone la storia minore o, per qualcuno – a livello antropologico culturale – adirittura maggiore. Figurarsi, si tratta di confrontare tesi che partono da punti di vista diversi e, talvolta, hanno anche prospettive diverse. Una mera cronologia nello spostamento/approdo familiare non crea alcuna primazia.Giustamente con garbata ironia Sorabella cita l’uomo di… Neanderthal ma perchè no i Volsci che storicamente furono i primi bonificatori del nostro territorio (con tanto di strade e canali). Ho trascorso una vita, anche con i miei scritti oltre che anch’io in TV, a sfatare il mito del pioniere … “veneto-pontino” o la cultura esaltata (fino a Finestra e Zaccheo), la “cultura del fango” ripresa tout-court da Pennacchi. Mattioli esprime dei concetti che in parte (ma solo in parte) sono anche i miei. Comelli, come al solito, apporta interessanti contributi e allargamenti. Per Libero De Libero, grande poeta fondano morto e sepolto a Patrica, la Grande Ciociaria arrivava fino a… Nettuno. Dire che ci sono tante Ciociarie o porsi domande come “Quale Ciociaria?” è interessante perchè fa capire, in ogni caso, che c’è un substrato da noi avvertito, seppure difficilmente definibile, di… Ciociaria. Mattioli riprende anche il concetto in uso di patria che sarebbe là dove si muore, dove vale la pena di morire, magari perchè il quel posto si è arrivati a cercare la svolta “culturale” al proprio destino. Sarà… Ma il… mistero buffo è che la mia idea iniziale, a ben leggere, poteva essere perchè siamo contrari all’unione delle due Province? E ancora: Perchè i veneto-pontini, di cui pure io sono diretta emanazione benchè con moglie sicuramente ciociara di Alatri e seconda casa in Val di Comino, continuiamo (ma senza generalizzare, eh!) a non volerci sentire come gli altri, a ritenerci detentori di un qualche diritto in più, a sentirci diversi (analogamente nel comportamento a qualche partito che chissà perchè continua nel marasma morale a sentirsi più puro degli altri). Noi “veneto-pontini” non abbiamo rivendicazoni particolari da portare avanti, anche perchè nella concisa e imperfetta elencazione di genti arrivate qui prima di noi se ne sono dimenticate diverse come i Goretti, i Serenelli, i Forti marchiggiani distribuiti a poca distanza intorno al podere ONC in cui io sono nato. Ma lasciamo perdere le cronistorie di tribù e famiglie qui immigrate e centriamo l’attenzione sull’indispensabile necessità di una riorganizzazione della presenza dello Stato sul territotorio che la burocrazia delle prefettute dell’Ottocento non sembra più interpretare al meglio.(Nota: Per errore ho scritto … confetto di pioniere, anzichè concetto, non correggo così il dott. Mattioli mi capisce meglio).
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    Nestore Di Giorgio mio nonno faceva il cow boy …nell’agro pontino…….(prima della bonifica)
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    Sergio Andreatta Bravo a ricordarcelo. E allora non posso non ricordare il buttero (più che cow-boy) Augusto Imperiali, il nonno di un mio caro amico cui ho pure dedicato una poesia. Quello, per intenderci, che battè Bufalo Bill
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    Carlo Genovesi finalmente qualcuno dice la verità sui pionieri, sono venuti già con l’assegnazione dei poderi oggi e grazie a qualche politico credono che la bonifica si è realizzata grazie a loro si prendono in giro da soli
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    Carlo Genovesi cmq rivorei la palude
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    Sergio Andreatta Anche se di fatica sulla terra “redenta” se n’è spesa tanta.
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    Sergio Andreatta Anche a me piace la palude come in Camargue.
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    Luciano Comelli Carlo Genovesi credo però che la confusione tra bonificatori e coloni sia stata fatta prevalentemente da certi politicanti, e non dai coloni!
    Anche colonizzare, comunque, non è stata una passeggiata. Forse, sul piano psicologico, peggio che bonificare: chi può dire il contrario?
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    Sergio Andreatta La Terra,…, lo scrivo con la maiuscola per rappresentare un valore supportato da fatiche e sacrifici che coglievo fin da piccolo nei discorsi dei miei. La Terra…, non era un semplice lavoro ma il valore di un riscatto. La terra promessa… (dottor Mattioli dove sei?).
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    Carlo Genovesi luciano io non ce lo con nessuno mia moglie è di origini venete so che i politici senza fare nomi hanno preso in giro queste persone ma ti posso dire con orgoglio latinense che i nostri figli che sono frutto di un miscuglio di regioni sono i più belli d’italia
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    Sergio Andreatta Tuttavia non credo, Luciano, che colonizzare sia stato peggio, neanche psicologicamente (lo dico con cognizione di causa), di bonificare. I bonificatori, intesi come i primi che si occuparono dello scavo della rete dei canali, erano solo salariati e torturati dall’anofele, i colonizzatori non subivano più l’anofele e avevano la concreta prospettiva di acquisire il possesso del Podere ONC, sia attraverso il loro lavoro che attraverso un riscatto in danaro (come fece la mia famiglia) o in resa di quintali di frumento Strampelli.
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    Luciano Comelli Carlo non volevo insinuare che qualcuno ce l’avesse con qualcun’altro (anche se spesso può capitare), semplicemente che le cose, anche ricollocate nella loro dimensione, non cessano di avere significato e di costituire motivo di aggregazione e meccanismo di identità!
    Sergio si chiedeva del perchè della presunzione di “superiorità” dei venetopontini, io che non ci vedo niente di strano (perchè lo trovo una classica manifestazione di etnocentrismo comune a tanti gruppi, riscontrabile anche nei lepini o nei ciociari, tanto che di razzismo anti-colono ne ho sorbito abbastanza anche io nonostante la mia età anagrafica), comunque una motivazione speciale la individuo: è la precarietà del nostro/loro etnos. I venetopontini considerano (più o meno consciamente) come propria patria un territorio perlopiù rurale e frazionato, inoltre sono un misto di etnie originarie distinte e di classi sociali diverse, con esperienze ed educazioni variabili da famiglia a famiglia.. con dialetti e lingue diverse, che spesso hanno sopravvissuto nel contesto familiare più a lungo di ogni eventuale parlata caratteristica (veneta?) sia stata presente nel contesto sociale, soppiantata da diversi italiani regionali (un po’ romanesco, un po’ laziale/ciociaro).
    I venetopontini si sentono accerchiati, geograficamente e psicologicamente. Si sentono in pericolo di assimilazione… forse da sempre, o quasi!
    Ed è questo, secondo me, un ragionevole motivo per arrogarsi un ruolo speciale, elitario, di etnia fondante. Cioè per giustificare la propria specialità e condizione di minorizzato, ed alimentare in qualche modo la propria sopravvivenza.

    E questo è anche un po il motivo per cui mi domando se psicologicamente non sia stato peggio colonizzare che bonificare: perchè è vero che a bonificare si moriva, e a colonizzare no (o non più che gli altri), ma colonizzare in mezzo alla “nazione straniera”, in un deserto di rapporti familiari e di tradizioni, può essere ugualmente triste, e richiede una certa dose di volontà e convinzione, una certa visione (per quanto da poveracci) di futuro ed abnegazione al sacrificio. Più in testa, magari, che nel lavoro vero e proprio, su questo non c’è dubbio, ma la cosa rischia di essere ugualmente un parto difficile!
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    Carlo Genovesi luciano io ho vissuto latina  fin dalla nascita conosco bene il pensiero dei veneti friulani ecc essi si vedevano solo con i loro  e a noi ci chiamavano marocchini terroni oggi mi viene da ridere anche perche gli abbiamo preso le loro donne ciò a qualche anziano gli rodera ancora  ahahahha ma tutto ciò e superato da anni anche se c’è ancora qualcuno che vorrebbe ritornare a quei tempi il mio pensiero era rivolto a tutti qui lavoratori che hanno lavorato nell’agro e non erano gli assegnatari del podere
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    Luciano Comelli Attento però che il prof. ha “preso” una donna Ernica! è un pioniere anche in questo? 😀:D
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    Sergio Andreatta I venetopontini si sentono accerchiati, geograficamente e psicologicamente. Si sentono in pericolo di assimilazione… forse da sempre, o quasi! / scrive Luciano Comelli, questo mi ricorda tale secolare comportamento rilevato nei Mocheni (Mòchen) di quella stretta e chiusa  valle di Pergine in Trentino. Ma a Littoria-Latina i veneti si aprivano, nei cori dele chiese, nelle balere e nelle sagre di borgo si confondevano, quasi si integravano, e con il loro autopercepito senso di potenza superiore (non dico da superuomini) derivato dal compimento della mission assegnata non si sono mai realmente sentiti accerchiati e minacciati … dai marocchini e tuttavia l’assimilazione tra etnie avanzava lentamente e si presentava nelle scuole e nella società civile via via come un processo incontrastabile. Per fortuna.
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    Luciano Comelli Perchè non è un meccanismo conscio! è proprio l’ineluttabilità della non-conservazione che accende quel meccanismo di affermazione della superiorità…. almeno così credo! I mocheni (un po’ come i cimbri di Asiago) però erano protetti dalle montagne… che però non li hanno protetti abbastanza dal cambiamento socioeconomico, e sono finiti pressochè assimilati pure loro! (i mocheni un po’ meno, i cimbri ormai parlano tutti italiano/veneto!)
    Qual’è il popolo che invece più si è conservato (ma anche quello, neanche tanto) e senza alcuna barriera geografica? beh: i Rom, ed i Sinti… che infatti sono un pochettino razzisti e sopratutto abbastanza presuntuosi!
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    Luciano Comelli …Insomma se la mia teoria non è del tutto bislacca, i venetopontini fanno un po’ come gli zingari, o almeno ci provano (senza riuscirci).
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    Sergio Andreatta Ah, ah! Questa poi…
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    Sergio Andreatta Le colline terre di insediamenti (città e paesi), le paludi acque-terre di movimenti, passaggi e migrazioni…
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    Angela Calicchia per carità di Dio….io sono latinense mai asserito di scandalizzarmi di star insieme ai ciociari….ma stiamo ancora a questo livello?…………ne devono  fare ancora di strada se i latinensi dicono questa eresia…..!
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    Sergio Andreatta Brava, eresia!
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    Luciano Comelli Angela hai ragione, ma va precisato che anche i “ciociari” non mancano di spendersi in dichiarazioni dello stesso tono! mai stati ad una partita del Latina? 😀:D
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    Luciano Comelli Per carità, ineccepibile! purtroppo però ogni forma di “comunione” la si fa col consenso di ambo le parti… per fortuna questa “comunione” sarà di nessuna importanza, vista l’accresciuta inutilità delle amministrazioni provinciali dopo questo decreto ^^
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    Sergio Andreatta In occasione di Latina-Frosinone, il derby di LegaPro intendo, avrete letto (magari godendo un pò)  i manifesti di accoglienza affissi per tutta la città. La pecora…, anche simpatici per carità fin che restano nella goliardia, però… Il vero progresso è dato solo dalla contaminazione, da un processo di integrazione tra popoli, etnie, culture, interessi non dall’isolazionismo, dalle barricate, dalle rivendicazioni di primazia… I romani con le Sabine, i Pontini con le Ciociare e viceversa (ma Calicchia non è un cognome ciociaro?).
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    Angela Calicchia si penso di si…ad Alatri cè ne sono tanti!
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    Sergio Andreatta In sintesi, dr. Gianluca Mattioli,  quali sono secondo lei i fattori culturali di un riscatto? Non per caso, e/o paradossalmente – considerate certe posizioni minoritarie di alcuni veneto-pontini – proprio quelli che si accompagnano ad un processo di integrazione, ad un diverso e superiore grado di integrazione sociale con gli altri (dove l’altro pure per J.P.Sartre è rappresentato come: il mio inferno)… E le dinamiche del riscatto culturale non sembrano replicare, per certi versi, le dinamiche di ricerca di soddisfacimento dei bisogni primari? Fame, sfamamento, appagamento-successo (o frustrazione)?… Non è chi non veda il parallelismo, seppure su diversi piani.Certo c’è chi, oggi, contesta il processo di apprendimento sociale attraverso l’adattamento e l’assimilazione multiculturale (qualcuno con un distinguo interessante focalizza meglio sull’interculturale). Certo c’è anche chi, come il mio amico eremita del Romitorio di S. Egidio, ha trovato la sua strada solitaria (Elogio della vita solitaria), ma nella norma si vive in una comunità laica, religiosa o che sia, in una rete di relazioni e ci si rapporta agli altri. Così pure in un coinvolgente processo di riorganizzazione amministrativa di un territorio (le Province) diventa fondamentale il superamento, per integrazione partecipata più che per fusione fredda,de “lo meo particulare”.
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    Gianluca Mattioli sicuramente c’è una spinta all’emigrazione che abbiamo chiamato “riscatto culturale”:  si lascian gli stazzi per andare verso, e il mare è una distesa che si perde nell’orizzonte, è la metafora, con una linea netta precisa e ferma. L’orizzonte è quello socio culturale. Per cultura si intende “il dialogo con un nuovo gruppo sociale” e questo dialogo è emergente sul piano di riconoscimento attraverso la prole. Nel riscatto culturale la “prole” ha un significato complesso e  profondo, in pratica è tutto il futuro. Sono ideali forti e vedono nella realtà la realizzazione spasmodica… ecco che i rapporti generazionali “necessariamente” sono conflittuali (sicuramente tu, caro Professore, nella materia specifica ne saprai certamente più di me, perchè hai lavorato nell’ambiente). Il punto è nella gestione di una spinta così potente  che è poi nel dover farsene una ragione dei fatti che accadono…. principalmente la difficoltà rientra nella tolleranza della frustrazione. Perchè in tali condizioni così forti il gruppo come “difesa” costruisce una “mentalità” che tradotto è che non c’è dialogo tutti la pensano allo stesso  modo e tutti partecipano senza dibattito…… anzi il dibattito è ostacolato…. e così viene meno la “cultura” e viene il conflitto….. insomma il nostro lavoro oggi si chiama “farsene una ragione” e superare la fascinazione fanatica della “mentalità”………….
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    Luciano Comelli A forza di leggere il Mattioli, un po alla volta, credo di cominciare a capire perchè di solito non mi ci trovo in condizioni di empatia: è proprio un problema generazionale! nel senso che, nell’esperienza della mia generazione, quel “farsene una ragione” di cui lui parla è probabilmente un processo ad uno stadio molto più avanzato che non nella generazione precedente… per me è quasi scontato, ma per lui evidentemente no! ed è per questo forse che l’argomento della “corretta identità” appassiona veementemente lui (e qualcun’altro più o meno coetaneo) ma non appassiona più quelli della mia età… che siamo più “pacatamente” orientati ad una riscoperta (romantica o critica, questo conta secondariamente) del passato maggiormente scevra dal bisogno di “competere” e qualificarsi (come singoli, o come gruppo etnico), cioè al mantenimento di “almeno una identità”.
    In parole povere a noi nce frega più tanto stabilire chi era più bello o intelligente o antropologicamente superiore, e neppure di dover continuare a ripetere il mantra buonista dell’ “eravamo tutti uguali ed identici”, quanto invece conservare qualcosa di positivo (creativo?) di quel passato che, altrimenti, ci sembra destinato a morire nel mare dell’omologazione. E magari non ci scandalizza cercare di conservarlo ricorrendo all’analisi ed all’affermazione delle differenze tra genti diverse, siano esse differenze “interne” alla società pontina, oppure in confronto alla società pontina e quelle che stanno all’esterno (vale a dire che lo si può fare tanto sottolineando quanto siano diversi lepini e venetopontini, tanto sottolineando quanto siano uguali).
    Forse una spia di questa differenza generazionale di prospettive e di preoccupazioni è anche il fatto che a molti dei più adulti diano un po’ fastidio i concetti di “gruppo etnico” o di “differenza”, mentre ai più giovani diano più fastidio i concetti di assimilazione (assimilazione poi a cosa? nel nostro caso siamo tutti in corso di assimilazione, lepini e venetopontini, al nulla più amorfo! non certo gli uni agli altri, salvo casi particolari e marginali)… almeno per me è così, poi bisognerebbe sentire e coinvolgere di più qualche giovane in queste discussioni (e la loro mancanza è una pecca la cui colpa è secondo me da attribuire alle generazioni + vecchie, per le quali i giovani sono spesso considerati pregiudizialmente disinteressati o peggio stupidi… mi permetto di dirlo senza false diplomazie!)
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    Luciano Comelli …insomma: non è che a forza di litigare su chi sia il più bello, e quale sia l’identità giusta, si finisca per non avere più nessuna identità da scegliere? Perchè poi il sospetto ti viene, che tutta questa passione per un problema di identità insussistente e mal posto (cioè quello LT contro FR), non sia nient’altro che la risposta “di pancia” che tante persone danno al fatto di non averne più nessuna, di identità di gruppo.
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    Gianluca Mattioli In genere l’identità ha dei parametri per es. i cimiteri…. nel riscatto culturale contano, sopratutto  per le questioni dell’eredità (Trimalcione ce lo aveva spiegato benissimo)……. ed era sicuramente che lui mangiava tanto… poi per quanto riguarda la difficoltà… ancora oggi necessaria per dare spazio al riscatto culturale è il punto centrato molto bene da Comelli: “””””questa  passione per un problema di identità insussitente e mal posto (cioè quello di LT contro FR)””””””””””””  l’esistenza di una feroce competizione territoriale  che smentisce e fa tabula rasa delle precedenti affermazioni del Comelli………  Il farsene una ragione per quanto detto è dunque ancora un problema attualissimo…….. che si vuole evitare… è troppo… scottante………..
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    Sergio Andreatta In una probabile unificazione delle due province di Frosinone e Latina, in un “Lazio Sud” o comunque si chiami, a seguito della spending review, siamo convinti che – anche a seguito di questo dibattito da me proditoriamente pro-vocato (è già il terzo in merito, il primo è stato “Latina, provincia di Frosinone”) – abbiamo, arrivando alla conclusione, tutto da imparare e da guadagnare a stare insieme, ciociari e pontini. Chi oppone motivi non è così stupido da non sapere che sono argomenti oziosi e pretestuosi, se non campanilistici o addirittura intollerabilmente razzistici. Ottaviani, Iannarilli e Cusani hanno la loro “carega “ da difendere e si danno strenuamente da fare per difenderla invocando l’alleanza di nobili, quanto inesistenti, ideali. I veneti-pontini che hanno davvero sostanziosamente contribuito, insieme ad altri prima-durante-e-dopo- la bonifica integrale- al riscatto delle terre pontine dalle paludi e al miglioramento della propria sorte non ne fanno una bandiera da difendere ottusamente, ad ogni costo, e sono anzi tra i primi ad ammettere e ad accettare che le cose si evolvono, tranne quei quattro “pionieri” del “congelato” riscatto così come definito e cristallizzato da Pennacchi e criticato da Mattioli. Poco fa il TG1 parlando delle elezioni americane in corso, qualificava gli elettori del repubblicano Romney come elettori lusingati dalle sue soluzioni ai problemi della pancia. Questa, dunque, la loro rappresentazione del riscatto… Il vero riscatto culturale sembra a me, più pertinentemente col nostro dibattito da me suscitato, quello in cui ci sappiamo metterci nella condizione di disporre a pieno delle nostre potenzialità e facoltà, delle nostre funzioni psichiche e sociali e, naturalmente politiche, sapendo mediare tra gli interessi nostri e quelli della comunità/società. L’educazione (compito non esclusivo di scuola e altre agenzie preposte ma soprattutto della famiglia), il raggiungimento e il mantenimento di un posto di lavoro possibilmente non precario, la coltivazione di relazionoi sociali soddisfacenti e l’introduzione di provvidenze (e cure) su misura dei bisogni della persona che lo Stato sapesse garantire, costituiscono il contesto – il terreno di cultura – di questo riscatto culturale. Non c’è soltanto la cultura della persona, c’è la cultura del gruppo e di una società da considerare. Il riscatto riabilitativo di una sofferenza o di una minorazione, vero dr. Mattioli?, emarginanti in sé costringe ad una riorganizzazione della persona. Il riscatto, auto o etrogenetico, porta a capire le frustrazioni e a gestire i propri limiti, induce a chiarire, a chiedere (saper chiedere) solidarietà e aiuto, a superare le problematiche e i blocchi di certe esperienze negativamente vissute nella connessione con gli altri, e non con la separazione da loro, attraverso l’attivazione delle determinanti psichiche dei fattori psicosociali, familiari, ambientali. Insomma materia per chi si occupa di persona e società, oltre che metodo di diagnosi e prognosi per psichiatri. Altrettanto occorre attivare ora, in occasione dell’imminente processo di omologazione della nuova provincia, le determinanti “culturali” per un pù ampio rassemblement, non soltanto amministrativo.
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    Sergio Andreatta (ci) sappiamo… metterci
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    Luciano Comelli Non so se ho capito bene quello che mi diceva il Mattioli, ma se mi contestava una contraddizione, io non ce la vedo: prima di tutto non sostenevo necessariamente un’identità di persone tra chi “se n’è fatta una ragione” dei contrasti legato alla genesi dei venetopontini (che secondo me non neppure hanno richiesto necessariamente il ricorso al “pionierismo” o al “fascismo” per verificarsi, ma si sarebbero verificati comunque) e chi si appassiona alla questione LT vs FR, ma poi sostenevo chiaramente che la seconda questione sia chiaramente il prodotto (anche in senso generazionale) sociale della morte della prima. Una conseguenza negativa di un processo apparentemente positivo.
    Cioè che quel “farsene una ragione” senza conservare la bontà delle differenze, la genuinità dei dialetti e la costruttività di un moderato senso di orgoglio etnico, in altre parole un “farsene una ragione” dimenticando qualsiasi identità, dimenticando pure di avere BISOGNO di un’identità sociale, abbia prodotto (anche in senso generazionale, lo ribadisco) una massa di persone confuse (ove proprio non educate alla loro identità) e incazzate per un bisogno di identità che non possono soddisfare, perchè i loro padri non gliel’hanno insegnata.
    In parole ancora più povere, bisogna si farsene una ragione, ma non come (temo) hanno fatto i nostri padri, cioè in buona sostanza la generazione del Mattioli! Bisogna accettare di riscoprire delle differenze e sentirsi liberi di affermarle e di farne un punto d’orgoglio. Nessuno credo voglia costruire dei muri, dei ghetti o delle frontiere, ma ho come il sospetto che qualcuno (prima di me) abbia un po’ esagerato con la retorica dell’integrazione e del “siamo tutti uguali, e chi vuole conservare la sua cultura è uno stronzo” (perdonate la vulgata).
    Il risultato è che anche gli stronzi hanno bisogno della loro identità, e se tu gliela neghi poi loro se la vanno ad inventare nei modi più improbabili, ad esempio tirando i sassi al pullman del Frosinone FC.
    E’ la mia visione, per carità, liberi di dissentire! (però mi sembra internamente coerente!)
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    Luciano Comelli Mattioli mi dica una cosa, in puro spirito di discussione: “farsene una ragione” per lei poi come va declinato? è una cosa che comporta lo stigma sociale per chi nel 2012 si dichiarasse “venetopontino”?
    E’ la cancellazione del concetto di venetopontino ed il suo, diciamo così, “scioglimento” in una entità etnica più grande? (se si: quale?)
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    Gianluca Mattioli Il farsene una ragione è il rapporto con la realtà, il venetopontino non gli appartiene perchè è la nuova figura frutto di una volontà di accoglienza dell’altro l’asse portante è la fusione delle etnie. Ad ostacolare il farsene una ragione è sopratutto…Altro
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    Luciano Comelli Ah ok allora ho capito, ma saremo sempre in totale dissenso su questo! Da un lato infatti non solo rifiuto totalmente la “fusione delle etnie” come asse portante della nostra come di tante altre “storie”, ma la ritengo uno dei mali peggiori di qualsias…Altro
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    Luciano Comelli ah, beninteso a vantaggio di tutti, che quando parlo di etnia parlo di cultura, non certo di razza.

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