10th Ott, 2015

Renato Leti e Sergio Andreatta, due scrittori con un tratto di strada in comune

Sergio Andreatta e Renato Leti, 1967

Sergio Andreatta e Renato Leti, 1967

Sergio Andreatta, Enaoli, 1967

Sergio Andreatta, Enaoli, 1967

Un ricordo, emozioni per qualcosa che era morto nel vento. E basta una vecchia foto per riconvocarle. Il poeta Renato Leti di Montasola Sabina (RI), vincitore di tanti premi letterari importanti, me la spedisce per il compleanno. Per la storia siamo nell’autunno del 1967 sulla Cassia, al Centro Giaccone dell’Enaoli. Da poco, turbandoci, era arrivata la notizia dell’assassinio di Ernesto Guevara. All’epoca avevamo tante idealità per la testa. Da qualche settimana ci trovavamo a Tomba di Nerone per frequentare uno stage di formazione. Il poeta si riconosce nella foto per la giacca scura e gli occhiali, io per le gambe accavallate. Eravamo giovani belli dentro, decisi e ben motivati. A me premeva un contratto di lavoro senza altre perdite di tempo. Dopo il buon diploma di abilitazione magistrale, di cui aveva parlato Il Messaggero in un articolo, avevo trascorso due mesi a vender libri Mondadori. Ma non faceva per me. Avevo superato al Magistero il selettivissimo test di ammissione e mi ero potuto iscrivere ad un corso di laurea, poi sulla media dei voti mi sarebbe stata assegnata una borsa di studio. All’Ente Nazionale, notoriamente un feudo democristiano, erano affluiti, ed anch’io con loro, 400 candidati da tutt’Italia, molti raccomandati da onorevoli e vescovi. Un tema sull’influenza e il condizionamento dell’ambiente sociale nei processi di formazione della personalità, era stata la prova da superare per aprirsi le porte del Corso residenziale. In 40, giovani e forti, quelli che… non eravamo morti. Dopo tre mesi stremanti, gli esami e il colloquio decisivo. I nostri erano docenti splendidi, universitari come Claudio Busnelli di Perugia, Luisa Falorni di Livorno e altri. Due salivano dalla RAI. Li ricordo bene Mario Maffucci e Luciano Scaffa, direttore della TV dei Ragazzi. Un corsista romano che suonava al piano “Al Chiaro di luna” di Beethoven con aria semiclandestina un giorno mi aveva messo in mano  il negativo della foto della morte del Che. Non so come l’avesse avuto, mi sembra intrattenesse rapporti con qualcuno di Paese Sera… Nelle foto inviate, oltre Renato, altri di cui non ricordo più le storie né i nomi. Dispersi nelle nebbie della memoria. A fine corso i superstiti saremmo stati solo 13. La Direzione Generale mi avrebbe proposto come sede di tirocinio, da diventare di lavoro se l’avessi superato, l’istituto Enaoli di Pomposa-Porto Garibaldi per me troppo lontano dai miei interessi e dalla Facoltà e, al mio rifiuto, un altro nella maremma grossetana. Di nuovo rifiutai. Dopo capodanno arrivò, però, al posto telefonico pubblico del borgo in cui abitavo una chiamata della Direzione, sembrava non volesse proprio perdermi e aprendosi all’improvviso ai miei interessi di studio mi avrebbe offerto il C.M.P.P. di Mercogliano (AV), l’unico centro specialistico di tutta l’Italia centro-meridionale. Capii così che ero entrato nella schiera degli eletti. Seguirono due anni da istitutore, intensi, a tempo pieno in mezzo a ragazzi orfani dalle vicende mortificanti e con Mastrangelo, un grande neuropsichiatra infantile dell’Università di Napoli. Era la migliore opportunità per coltivare e sviluppare le mie competenze medico-psico-pedagogiche. Il lavoro m’impegnava senza tregue, le storie dei ragazzi mi toccavano profondamente coinvolgendo ogni mia sensibilità. Presto avrei capito che nella quotidiana “Realtà Educativa”* bisognava voler loro bene e nel modo giusto. Bene andava La Sapienza che pur non potevo frequentare. Qualche mese dopo sarebbe stato bandito il concorso magistrale per cui mi sarei ritrovato nei ruoli d’insegnante elementare a Latina. Due lavori sulle stesse corde, in fondo. Ed ecco poi la laurea in pedagogia ad indirizzo psicologico con 110 e lode e, alla prima occasione, la vincente partecipazione al concorso nazionale per direttore didattico… 45 anni sono così velocemente trascorsi in questo ambiente, di cui 33 con le complesse responsabilità del capo d’istituto. Una vita, sembrerebbe scontato dirlo, tutta per l’educazione dei ragazzi … (Sergio Andreatta, pescando dal pozzo dei ricordi, più dolci della realtà di un tempo, all’arrivo di una foto di 48 anni prima).

* “Realtà Educativa”, la Rivista dell’ENAOLI.

Inclusi i 6 intensi mesi di formazione teorico-pratica avrei trascorso all’ Enaoli, dichiarato ente inutile nel 1971, il periodo da ottob. 1967 a sett. 1969.

Sergio Andreatta e Renato Leti con due orfanelli all'Enaoli di Roma, 1967

Sergio Andreatta e Renato Leti con due orfanelli all’Enaoli di Roma, 1967

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