16th Mag, 2016

Don Felice Accrocca da Cori a Latina, ad arcivescovo metropolita di Benevento

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Don Felice Accrocca da Cori a Latina, ad arcivescovo metropolita di Benevento.

di Sergio Andreatta

Mons. Felice Accrocca arcivescovo di Benevento

Mons. Felice Accrocca arcivescovo di Benevento

Il nostro don Felice Accrocca, 56 anni di età di cui 30 di sacerdozio, originario di Cori, è stato ordinato arcivescovo di Benevento ieri sera nella grande Chiesa di Latina del Sacro Cuore ove era parroco. Nel suo stemma il motto “Nisi Dominus aedificaverit” tratto dal salmo 126, se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Sotto le alte volte della chiesa risuona l’inno “Veni, Creator Spiritus” a conclusione del quale il Vescovo Crociata, che presiede la cerimonia assistito da Giuseppe Petrocchi arcivescovo de L’Aquila e Andrea Mugione arcivescovo emerito di Benevento, apre la liturgia dell’ordinazione. La presentazione dell’eletto avviene tramite la pubblica lettura della notifica papale “Franciscus Episcopus, servus servorum Dei, dilecto filio Felici Accrocca”. Ed eccolo, don Felice, che ha scelto un pastorale di legno d’ulivo per semplicità francescana (ricordiamo che lui con le sue ricerche e le sue molteplici pubblicazioni è uno dei maggiori esperti mondiali di francescanesimo) ma anche a ricordo della mamma e del lavoro svolto da lei a raccogliere olive nella campagna corese per 33 anni. Un sacerdote come pochi nel Collegio presbiteriale diocesano, veramente credente, umile, sempre disponibile, impegnato nella pastorale sì che si possa dire di lui che odori d’ulivo o puzzi di pecora come vuole papa Francesco che lo ha nominato, coltissimo. Mi congratulo con il Vescovo Mariano Crociata e con il Nunzio apostolico. Il Signore vegli ora su di lui e lo protegga nel suo arduo compito in terra sannita e irpina. La storica Arcidiocesi beneventana è una delle più antiche e prestigiose (Ducato di Benevento) risalendo ai primi secoli del Cristianesimo e sovrintende ad altre cinque diocesi suffraganee tra cui Avellino dove io ho vissuto per due anni. Per quasi vent’anni fin dai tempi del vescovo Domenico Pecile, io e lui, siamo stati dirimpettai d’ufficio, Tevere e Oltretevere in Via Sezze, io dirigente scolastico del IV Circolo didattico che gli prestava scuole e aule per la catechesi, specie a Borgo Isonzo (San Pio X) vincendo qualche resistenza dei rappresentanti dei genitori e del Consiglio d’Istituto, e lui attivo in mille promozioni pastorali e culturali in Curia. Qualche volta litigavamo pure (2004), per poi chiarirci definitivamente. Io che volevo si costruisse una Scuola dell’infanzia statale laica a Borgo San Michele in concorrenza con quella comunale gestita dalle suore, lui che interveniva insieme con don Enrico Scaccia, altro amico, per contrastarmi nell’assemblea popolare pensando e fraintendendo, perché alcuni bigotti gliel’avevano ficcato in testa, che avessimo in mente di scacciare le suore francescane dal borgo e quindi indirettamente privare la parrocchia del loro insostituibile contributo. Niente di più falso, specie per me fratello di una missionaria comboniana, semplicemente l’idea di soddisfare le richieste di un surplus di domande che non trovavano accoglienza e d’incrementare fin dai primi anni la qualità degli apprendimenti scolastici con metodiche più moderne e innovative. Se poi i cittadini avessero potuto fruire di una scuola laica come richiedevano (“Libera Chiesa in libero Stato”), ancora meglio. E si sarebbe dato corso, su mia fortissima spinta e diretti contributi sui criteri, alla costruzione della più innovativa scuola del Comune (ing. progettista Antonio Ciotoli, sindaco Vincenzo Zaccheo), da me proposta in intitolazione,come tributo, alla Comunità “Città di Latina”. E lui e soprattutto don Adriano Bragazzi, poi mandato dal vescovo Giuseppe Petrocchi a mediare, si sarebbero dovuti ricredere sulle mie intenzioni, inoffensive e rivolte ad una mens construens. Siamo rimasti amici, collaborando io in seguito nella scrittura e pubblicazione di alcuni articoli su “Chiesa Pontina”, la rivista da lui diretta. Potrei scrivere a lungo e dettagliatamente del suo prestigioso curriculum e della trafila dei suoi incarichi, sempre esemplarmente svolti, non soltanto in Diocesi, e del suo amore pastorale per i giovani, perfino delle chiacchiere invidiose – se non denigratorie – di qualche collega presbitero mal tollerante, forse, dei suoi non cercati successi. E non mi sarei mai rivolto a lui, anziché direttamente al Vescovo come pure facilmente avrei potuto, per indicargli la necessità di una sua vicinanza e di un sostegno a un prete in difficoltà, se non avessi confidato pienamente e totalmente nella sua coscienza e nella sua riservatezza. Così mi donava una copia dei suoi libri, mentre io prima dell’ufficializzazione della notizia della sua nomina, una copia del mio ultimo “Camilla, Missione Esmeraldas” (Prefazione di P. Giulio Albanese) che pure sarebbe giunto a Santa Marta nelle stesse mani del Papa. © – Sergio Andreatta, RIPRODUZIONE RISERVATA

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