9th Ago, 2016

Libertas & Licentia, un continente educativo alla deriva

LIBERTAS ET LICENTIA…

La nostra società italiana sta attraversando, ormai da diverso tempo, una crisi antropologica per cui non mi pare vi sia più ragionevolezza, per così dire, sufficiente “buon senso”, in ogni genere di confronto. L’avversario, o in generale chi la pensa diversamente (poco importa che si tratti di un oppositore politico o di altro genere), viene puntualmente demonizzato, insultato o vilipeso che dir si voglia. È sufficiente leggere certi commenti su Facebook per rendersi conto del degrado mentale e verbale di molti nostri connazionali. E dire che i latini, nostri illustri antenati, distinguevano la cosiddetta “libertas” dalla “licentia”.

La libertas per loro indicava la speranza che la persona coltiva di poter essere in relazione, cioè “filius liber”. La libertas, in quanto legame filiale, esprimeva, dunque, in quella cultura, l’essenza di una relazione indissolubile. La licentia, invece, era considerata come la speranza di poter affermare liberamente la propria volontà, incondizionata, senza per così dire, che vi fosse alcun freno inibitorio. Ecco che allora, per i romani, duemila anni fa, la libertas designava, concretamente, la condizione del cittadino libero ma soggetto alle leggi, mentre la licentia, esprimeva l’atteggiamento sfrenato e arrogante di chi credeva di potersi permettere tutto ed essere al di sopra del diritto.

A me pare che, oggi, vi sia proprio questo fraintendimento: si confonde la libertas con la licentia. La posta in gioco è alta perché la libertas implica il primato della relazione sugli individui. A questo proposito mi ha molto colpito quello che disse Massimo Cacciari, anni fa, nel corso di un suo intervento al Convegno di Studi delle Acli (Vivere la speranza nella società globale del rischio,Orvieto, 5 settembre 2003): “Tutta la nostra cultura è basata sull’idea che prima si danno gli individui e poi si crea la relazione. La libertà implica questo paradosso: che prima è la relazione e poi sono gli individui.” Peraltro – ma questo è solo un inciso -il ragionamento di Cacciari ha anche un suo riscontro teologico nel mistero trinitario; basta leggere Sant’Agostino. Una cosa è certa, il deficit di libertas compromette le nostre relazioni e acuisce l’incomunicabilità. Pertanto, sarebbe cosa buona e giusta se vi fosse maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti . Padre Giulio Albanese

Commenti

Angelo Pinna In tale crisi antropologica son coinvolto in prima persona e infatti reagisco anch’io in modo irrazionale (quanto meno a livello verbale ) nei confronti di chi pensa diversamente da me e dimostra atteggiamenti e comportamenti liberticidi e antidemocratici. Mi rendo conto che però è consuetudine anche a livelli sociali più alti usare termini e comportamenti “licenziosi” , proprio nei termini espressi da Giulio .

Corrado Bergamini
Corrado Bergamini Caro Giulio e’ verissimo ciò che dici, ma citi una persona che ha la Licentia di dire ciò che vuole e se per caso lo contraddici o non sei d’accordo diventi subito arrogante, stupido e quindi da eliminare. In Italia, caro amico mio del Lido dei Pini (che bei ricordi), ha la Licentia solo chi e’ radical-chic o ha la bandiera della pace esposta sulla finestra ma che poi e’ la prima persona che chiama l’assessore per farsi spostare i bidoni di spazzatura sotto casa o per farsi condonare la tettoia o la piscina a Capalbio o per farsi mettere il parcheggio invalidi davanti il portone di casa. Io direi che sarebbe cosa buona e giusta ricevere e dare una ottima educazione civica e del rispetto della libertà’ altrui, non della propria.
Luigi Setaro
Luigi Setaro Mi permetto di aggiungere solo una considerazione. L’assunzione di responsabilità, secondo me, consiste anche nel prendersi la “licentia” di manifestare il proprio pensiero senza autocensurarsi, invece si assiste sempre più alla rinuncia di questo canoAltro…
Roberto Bàrbera
Roberto Bàrbera Temo Giulio che tu sia troppo colto e profondo. Io più banalmente credo che per qualche misterioso motivo la società italiana sia ormai eterodiretta da imbecilli e che l’unico titolo di merito oggi riconosciuto sia quello. Coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti (quelli che vogliono vedere).
Raffaele Giannini
Raffaele Giannini Il dominio mediatico culturale ha spacciato subcultura a piene mani, nel corso degli anni, ed oggi sperimentiamo il vuoto intorno a noi, l’ ideologia neoliberista la fa da padrona, che impone il profitto a qualsiasi altrui costo.
Emanuela Ulivi

Emanuela Ulivi Condivido. Aggiungo solo che la libertà ha dei costi e comporta uno sforzo, la licenza è un po’ più a buon prezzo. Chi ha barattato l’una per l’altra? Non lo so, so però che la politica, col suo linguaggio e le sue battaglie a furor di consensi, ha dato una bella mano.

Sergio Andreatta

Sergio Andreatta
                                                                                      Sergio Andreatta

Sergio Andreatta Per questo degrado (abbassamento di grado e di livello da libertas a licentia) culturale e morale di chi la colpa? Se diciamo “antropologia” diciamo tutto e niente, l’antropologia culturale dovrebbe solo servire a comprendere i fenomeni, ad analizzarli poi per la parte costruttiva (pars construens) dovrebbero entrare in ballo le facoltà operative (politiche, sociali, educative, religiose,…). “Per Regola e Progetto” è stato il motto orientativo del Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituzione scolastica da me diretta. Da tre anni sono in pensione dopo 35 da dirigente scolastico e scopro con rammarico che “Tutto è possibile” è andato a sostituirlo. Senza percezione della propria finitudine, senza senso laico delle regole e degli altri nessuna educazione ritengo possibile. Allinearsi è diventato così meno faticoso per genitori ed insegnanti ma anche i preti che spesso cedono ad una pastorale discutibile si fanno sfuggire gli adolescenti. Appena qualche mese dopo la cresima quanti di questi continuano a frequentare gli ambienti parrocchiali? Distratti dalla vita che in questo caso vorrebbe dire quasi sempre dalla scoperta del sesso e delle sue attrazioni? Un vago ed indefinito senso di religiosità a misura della propria senso-percezione va mano mano a sostituire la dimensione religiosa più profonda dell’infanzia, ora ci si appaga al massimo con semplici, formali pratiche. C’è un ritorno più evoluto, rispetto al suo primo manifestarsi puerile, di egocentrismo. La compulsione instillata dalla tradizione (che ora si dice inventata) precede di poco l’abbandono totale delle pratiche. Si abiura da quanto insegnato dai grandi per la scoperta personale. Al principio era la religione, il legame socioculturale, l’educazione possibile, ora nel “tutto è possibile” una forma di educazione è quasi diventata insostenibile se non per un processo autonomo di autoeducazione ma la maggioranza dei ragazzi preferisce vivere nella movida del suo stato brado. Situazione non ribaltabile? Non decolpevolezziamoci distribuendo colpe e randellate agli altri. E non serve neanche solo ragionare, diventa sterile. Mettiamoci piuttosto in gioco e salviamo almeno la nostra famiglia e sarebbe tanto se tutti lo facessero… Ogni cucciolo nasce in un nido, anche il bambino per la sua igiene mentale ha bisogno delle cure materne e nel suo allevamento di una famiglia affettuosa ed equilibrata ma anche giustamente autorevole, di genitori che non pecchino di iperprotettività e di lassismo. L’iperprotettivo stenta a riconoscere l’altro, il lassista non corregge dagli errori e facilita la costruzione di un processo educativo dove dove tutto, purtroppo, è aberrantemente reso possibile. E’ l’inizio della licenza e di una nuova cattiva vita perché male impostata. La società non è più autoregolante come un tempo e la folla è solitaria come scrisse D. Riesman mentre paradossalmente l’individuo, orientato alla spasmodica ricerca di successo, diventa inconsapevolmente ogni giorno di più eterodiretto e condizionabile. Sergio Andreatta

Letizia Santangelo

Letizia Santangelo A me sembra molto evidente e per nulla paradossale che la relazione venga prima dell’individuo. E altrettanto evidente mi sembra che la relazione con se stessi venga necessariamente, e non solo per necessita’ logica ma anche esistenziale, prima della relazione con gli altri. Questo è più un concetto greco che latino o prima greco e poi latino, ma il risultato non cambia, si approfondisce solamente.

Andrea Giansanti

Andrea Giansanti Mi permetto qualche riflessione. La relazione prima dell’ individuo; questo è il frutto maturo della stagione strutturalista (v. in matematica il bourbakismo), che a sua volta è stata generata da una derivazione dell’ illuminismo: ragione, ragione analitica, logica e infine formalismo. Se la relazione è struttura che emerge, dinamicamente, storicamente, dagli scambi e dalle interazioni degli individui e non archetipo, valore non negoziabile, idea metastorica allora sia il principio di ragione che il richiamo – specifico di una riflessione giuridica di matrice cattolica (Paolo Grossi) – al principio di ragionevolezza sembra possano conciliarsi. Il ricorso al principio di ragionevolezza, è un richiamare, al di là del formalismo giuridico normativista (di presunta derivazione illuminista tendente agli assiomi astratti: ad es. la legge è uguale per tutti), la considerazione dei singoli volti, delle singole storie; comprendere l’ eccezione e la regola. Come vedi, padre Giulio, le mie parole sono piene di antipatici ismi. Se tu volevi richiamarci ad un principio di responsabilità per cui se uno la spara grossa (senza rispetto, senza competenza, in un delirio di ridicola soggettività) poi ne deve rispondere (sarebbe interessante saper dire a chi?), allora siamo d’ accordo ben oltre i modi dell’ espressione. E questo accordo unisce sia i sacerdoti laici della ragione che chi si richiama alla ragionevolezza cristiana. Ma la ragionevolezza è cristiana? E’ cristiana la distinzione tra libertà e licenza? Su questo ho molti dubbi, che sono lontano dall’ aver chiarito a me stesso;…forse dovrei rivolgermi ad un gesuita.

Sergio Andreatta

Sergio Andreatta E’ un sofisma che i gesuiti sappiano chiarire meglio di altri pensatori. Piuttosto sarei s’accordo con Andrea Giansanti sugli interrogativi: “Ma la ragionevolezza è cristiana? E’ cristiana la distinzione tra libertà e licenza?” Avrei anch’io i miei dubbi. Si è cristiani per fede, non per ragione. E “la fede – secondo la Lettera agli Ebrei II lettura di domenica scorsa 7 agosto – è fondamento di ciò che si spera e prova (per chi crede) di ciò che non si vede.” Sergio Andreatta

 Sergio Andreatta

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