15th Set, 2009

Della necessità della politica a scuola

 

La necessità della politica a scuola

    

 

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 Pensiero d’urto di Sergio Andreatta.

 

 

 

 

www-andreatta-it.jpgChe cosa distingue l’uomo da un animale se non la sua capacità… politica e la sua essenza nel viverla e nel praticarla? E se l’uomo non può far a meno della politica, non può farne meno oggi sicuramente l’uomo di scuola, l’insegnante. Checché ne dica, o pretenda di dire in proposito, il ministro Mariastella Gelmini (presumibilmente logorata dalle estenuanti rivendicazioni dei precari della scuola) con le sue dichiarazioni o qualche altro esponente del Governo. Naturalmente noi parliamo della-politica-sergio-andreatta-a-dx.jpgdella “politica” e non della contesa “partitica” che è altra, e spesso anche miserabile, cosa. Lo sosteneva già Aristotele per il quale l’uomo non era altro che “politikòn zóon cioè una sorta di “animale politico”. L’uomo non può, diceva Aristotele, vivere da solo (fuori dalla polis): chi ci riesce o è una belva o è un dio

E il politikòn zóon di Aristotele non è soltanto da tradurre come “animale sociale” perché “animali sociali” sono pure le api e le formiche e altri quadrupedi.

 

L’uomo più di un animale sociale è un animale politico, non soltanto perchè “vive nella pòlis”, ma perché per vivere ha bisogno della borgo-san-michele-3.jpgpolis (al termine polis corrisponde “politeía, costituzione, e “polítes, cittadino). Il “politico” ha il senso della cittadinanza (cioè dell’appartenenza a quel territorio, a quelle leggi, a quel popolo). Il buon insegnante è un… “politico essenziale” all’interno della sua istituzione scolastica, vive nel contesto di questa sua appartenenza (hic et nunc), la pratica, la introduce (nella peculiarità del processo educativo) nel suo P.O.F. (Piano dell’offerta formativa) e la insegna liberamente (art.21 e 33 della Cost.) ai suoi studenti. Non è uno yes-man il professore ma un intellettuale che pensa (non sempre positivo) e insegna a pensare criticamente. E il “re è nudo“, anche nella giovane tradizione statuale (appena 150 anni) italiana. Ogni “re”, ogni capo, sia nudo per il ruolo pubblico che interpreta, visto e letto in trasparenza… Cogito ergo sum, penso quindi sono, scrive Cartesio, o come pure Agostino cui rimanda, capovolgendone però la prospettiva: si fallor sum, se sbaglio esisto. L’insegnante è uno che analizza e studia le ragioni del formarsi di un pensiero di consenso, uno che educa al pensiero divergente e al rispetto di tutte le dignità e dell’opinione plurale. Uno che rispetta certamente le leggi

 

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emanate dalla Repubblica (preciso dovere di ogni cittadino) ma che idealmente si augura che tutti, magari sopra di lui, per primi le rispettino senza riserve, senza contestazioni rissose (benchè forti del proprio status, del proprio impero economico o videocratico), pure quelle che non piacciano, senza mani avanti verso “lodi” autoreferenziali, autoprotettivi e autoimmunitari. Come si può sostenere che tutto questo, così inteso, non appartenga anche al mestiere del professore pure preposto dal 1958, con Aldo Moro, all’insegnamento borgo-san-michele-4.jpgdell’educazione civica e oggi, lodevolmente, di “Cittadinanza e Costituzione”? L’uomo non può fare a meno di questa politica, giacché in qualche modo la politica lo caratterizza come specie, anzi lo costituisce per quello che è nel suo paese, cioè la terra. Se gli togliessimo la politica, e cioè lo Stato stesso, le leggi e la partecipazione alla vita della sua collettività, gli toglieremmo anche la sua essenza, parte del suo umanesimo integrale. Un insegnante, mutilo della sua libertà di espressione (art.33 Cost.), lo limiteremmo nella sua funzione docente imbavagliandolo della sua tentacolare possibilità di espansiva comunicazione democratica. Forse è quello che si vuole? E un’Italia a rischio di diventare illiberale avrebbe, davvero, da guadagnare da un professore, così, politicamente “assessuato”? Da un giornalista asservito? Da un magistrato condizionato? Da un chierico redarguito?

E non possiamo dimenticarci che, ancora più drasticamente di Aristotele, Platone in un suo dialogo sosteneva che l’uomo, per sopravvivere, ha certamente bisogno della tecnica (dell’azione pratica, dell’imprenditoria), ma soprattutto della politikè areté, della virtù politica, di quel senso dello Stato, di quella coscienza etica e di quella dimostrazione di pacifica e costruttiva convivenza civile così palesemente mancante oggi ad una parte notevole dei politici italiani di casta. 

© Sergio Andreatta, riproduzione riservata.

Commenti

Più che un grande articolo sulla libertà di espressione, un vero manifesto. Grazie.

Grazie. La pluralità, la diversità, la multiculturalità del contesto attuale è sintetizzata bene, credo, dalla foto degli zainetti nella scuola dell’infanzia. I piccoli sono i primi a non fare troppe differenze, a non porre ostacoli alla “politica” dell’integrazione e del dialogo con qualcuno pur diverso da loro. Poi… viene la politica dei grandi con le sue pretese di asservimento.

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